lunedì 21 luglio 2014

MICOROSA-ZONA FANGHI: LA SITUAZIONE E’ GRAVE MA NON E’ SERIA (E.Flaiano).

Le notizie che la stampa riporta su “Micorosa” o meglio sulla “zona fanghi”, così come veniva chiamata dalle aziende del petrolchimico che hanno costituito la discarica abusiva, complicano ulteriormente lo stato di attuazione della bonifica.
Va dato atto alla politica che è riuscita ad ottenere i finanziamenti utili alla realizzazione del “capping”, con la sola eccezione relativa alla denuncia di inerzia avanzata nei confronti di altre precedenti amministrazioni che, a tal proposito, non avrebbero effettuato alcunché.
Ma sappiamo che uno degli slogan della politica è quello di “apparire”, a prescindere dal “servizio” dovuto nei confronti degli elettori che hanno ritenuto di affidare la responsabilità di rappresentarli; riteniamo che non sia possibile bearsi dei risultati ottenuti, nel qual caso il finanziamento delle opere di bonifica, e non evidenziare tutto il lavoro precedentemente svolto.
La “storia” della “zona fanghi-Micorosa” parte da lontano e proprio da una richiesta fatta dal Comune di Brindisi nel lontano 1995, stimolata da un intervento di Legambiente e che ha prodotto, da parte della Procura di Brindisi, l’apertura di un’inchiesta, anche a seguito di documentazione acquisita dalla Digos nel dicembre 1995.
Il Sindaco di allora, infatti, conscio di aver intrapreso l’iter regionale relativo alla creazione del “Parco Saline di Punta della Contessa” e che l’area della “zona fanghi-Micorosa” era parte integrante del Parco e se non bonificata non poteva, congiuntamente ad altri problemi ambientali dell’area, raggiungere gli obiettivi previsti per lo stesso Parco, fra cui la realizzazione di un brand sui prodotti agricoli, nel novembre del 2000 stimolò l’intervento di ARPA che, nel dicembre dello stesso anno, rappresentò la “tragica situazione ambientale” dell’area. Questa nota fu rimessa alla Procura che ha avviato un “procedimento penale” informando il Comune con nota n. 1695/01 R.G. del 29/05/2001.
Vi è stato, quindi, un diretto intervento della Procura, già a far data del 2001, del cui esito poi non si hanno ulteriori riscontri.
Resta però il fatto che, a seguito di quanto riportato da ARPA, il Sindaco emise “Ordinanza” n. 56/48526 del 27/06/2001 con la quale diffidava le società Micorosa Srl (allora non ancora in liquidazione) e la Enichem Spa, ad attivare tutte le procedure previste dal DM 471/99 in merito alla messa in sicurezza e successiva bonifica della discarica abusiva.
A prescindere da tutte le controversie amministrative avanzate nei confronti della richiamata Ordinanza, ancora oggi per certi versi pendente presso il Consiglio di Stato, dobbiamo rilevare che non vi è stata affatto inerzia da parte del Comune che, successivamente, nel 2002 ha elaborato un “Action Plan” su 11 siti pubblici, fra cui Micorosa, da caratterizzare ed eventualmente bonificare.
Ancora dopo, nel 2007, anche grazie a 3 milioni di euro rivenienti da fondi FAS, il progetto di caratterizzazione della “zona fanghi”, elaborato dalla struttura comunale, è stato approvato e realizzato, evidenziando un grave “stato di contaminazione diffusa”. 
Questa non vuole essere una “difesa” dell’attività amministrativa del Comune, non è il nostro ruolo, ma, oggettivamente, far intendere che non sia stato mai fatto nulla e che bastano due mascherine ed un po’ di “media” in cerca di notizie, non corrisponde alla realtà dei fatti.
In merito poi alla vicenda del progetto di bonifica elaborato da “Sogesid”, società in house del Ministero, l’arrabbiatura del Sindaco con volontà di emulare il calciatore Suarez, è oltremodo condivisibile in funzione delle incongruenze e dei pedestri errori di progettazione effettuati.
Come è possibile, infatti, realizzare una progettazione esecutiva senza essere in possesso dei titoli di proprietà dei terreni sui quali realizzare la bonifica?
Come è possibile richiedere la procedura di “assoggettabilità” alla VIA regionale (procedura bloccata dal gennaio 2014), ancor prima di aver ottenuto l’autorizzazione del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici?
Fa bene il Sindaco ad arrabbiarsi, anche e soprattutto perché sa che lo scoglio maggiore risiede proprio sulla proprietà dei terreni e, quindi, sui soggetti ai quali attivare le procedure di esproprio; fatto salvo che non vi sia un’ammissione di responsabilità da parte della Syndial  che, a nostro avviso, oggi ne detiene la proprietà e che solo il Consiglio di Stato, ove ancora pende il ricorso del Comune, è in grado di dirimere.
Questa ultima valutazione è frutto dell’analisi attenta che è stata fatta sulla proprietà del sito, a partire dal 1962 al 1968 quando la Montecatini iniziò a scaricare i fanghi di idrossido di calcio provenienti dall’impianto di acetilene (P 16) di proprietà della Polymer, continuando dal 1969 al 1975 allorquando dagli impianti della Montedison venivano scaricate nella “zona fanghi” le “code clorurate” provenienti dalla produzione di CVM e DCE (impianto P33) e, per finire agli anni 1972-1980 quando venivano scaricate le acque di lavaggio acide provenienti dall’impianto di produzione dell’anidride ftalica (P 26).
Un incredibile gioco societario di “scatole cinesi” fra acquisizioni, accorpamenti societari, vendite di rami d’azienda fra le società del Gruppo Montecatini, poi Edison e quelle del Gruppo Eni e/o di entrambi i gruppi, fino ad arrivare alla fittizia vendita della “zona fanghi” alla Micorosa Srl; fittizia in quanto, nel contratto di vendita fra Enichem-Anic e Micorosa che ne ha acquisito il possesso della discarica a partire dal 15/01/1990, vi era (paragrafo IX) la specifica clausola che il contratto è sottoposto “a condizione risolutiva” se Micorosa non avesse ottemperato agli impegni di risanare l’area della “zona fanghi” attraverso il “recupero” industriale di questi.
Nel richiamato paragrafo IX del contratto è riportato che, ove Micorosa non avesse ottem-perato alle attività di recupero, testualmente: “ In tal caso l’acquirente (Micorosa) è tenuto, a semplice richiesta del venditore (Enichem-Anic Srl) alla retrocessione dei beni del presente accordo”.
Dubitiamo fortemente che Enichem-Anic srl (oggi Syndial) abbia mai richiesto a Micorosa la retrocessione del bene, proprio in virtù della necessità di liberarsi di un discarica abusiva che, anche grazie all’emanazione della Legge 349/86 relativa alla introduzione delle “norme in materia di danno ambientale”, costituiva un enorme problema in virtù del fatto che il Ministero dell’ambiente, nel 1989, riteneva la “zona fanghi” quale “causa di gravi alterazioni negli equilibri ambientali”, riportati poi nella “Dichiarazione di area ad elevato rischio di crisi ambientale” con Delibera del Consiglio dei Ministri del 30/11/1990.
Resta il fatto che Micorosa è fallita ed è trascorso quasi ¼ di secolo dal richiamato “contratto”  ed i fanghi sono ancora nello stesso posto da oltre 52 anni e continuano, imperterriti, nell’azione devastatrice delle varie matrici ambientali e, condividendo i recenti ricorsi così come riportato nel dossier presentato da Legambiente al Procuratore della Repubblica di Brindisi nel 2013, anche nella gravità dei riscontri relativi alla salute pubblica.
Legambiente, come ha sempre fatto, vigilerà sulla procedura di bonifica in atto e, là dove necessario, sarà pronta a sollecitare ulteriormente i provvedimenti giudiziari a carico dei responsabili sia del grave danno ambientale prodotto che di coloro che, con comportamenti attivi e/o omissivi lo hanno consentito e lo consentono tutt’oggi in merito attraverso procedure che possono indurre anche alla perdita dei finanziamenti connessi alla bonifica.
Brindisi 21/07/2014                                                                   
                                                                                                     Prof. Francesco Magno 

                                                                                                Direttivo Legambiente Brindisi

giovedì 17 luglio 2014

PATTO DEI SINDACI: OCCASIONE PERDUTA?


Si è svolto l'incontro in cui la società Ernst & Young ha chiesto la partecipazione alla costruzione del “Patto dei Sindaci per le città sostenibili in Europa” nell'Area vasta Brindisina.
Erano quasi completamente assenti gli stakeholders invitati ed i rappresentanti politici ed istituzionali. Nell'incontro Legambiente ha ribadito le critiche per la mancata consultazione preventiva sull'impostazione e sull'affidamento dei lavori, ricordando, fra l'altro, che l'adesione al Patto dei Sindaci, come d'altronde l'atto formalizzato più di due anni fa dal Commissario prefettizio dimostra, è impegnativa per i singoli Comuni firmatari dell'impresa e non per organismi di raccordo quale l'Area Vasta.
 La realizzazione dell'inventario delle emissioni e del “Piano d'azione per l'energia sostenibile” (PAES), oltre al successivo Piano Energetico Comunale (PEC), gia previsto dalla L. 10/1991, non possono che essere riferite alle singole città aderenti, in considerazione delle specifiche tipicità e criticità e degli indicatori che  rappresentano gli ecosistemi urbani e gli impatti su di essi; non esiste quindi un “pensiero unico” a cui richiamarsi nell'Area Vasta brindisina e, in particolare, non ha alcun senso comune e scientifico un PAES su Brindisi che non analizzi in modo integrato città, porto e area industriale, contrariamente a quanto affermato da Ernst & Young che esclude dall'inventario delle emissioni qualsiasi lettura integrata con i grandi impianti; è evidente che per l’area di Brindisi, ad esclusione dei 7 grandi impianti inseriti nella normativa ETS (ENEL, Edipower, ecc.) ve ne sono molti altri che vanno necessariamente inseriti nel “Piano Territoriale” del comune di Brindisi, previsto nel “Patto dei Sindaci”.
I dati da riportare nell'inventario sono ampiamente disponibili preso l'ARPA e comunque consultabili in rete, così come quelli sui consumi energetici, ma il lavoro da compiere per il Patto dei Sindaci è altra cosa.
È bene ricordare che la base fondante del Patto dei Sindaci è il documento “Energia per un mondo che cambia”, approvato dall'Unione Europea il 9/3/2007: in esso si fissano gli obiettivi della riduzione di CO2 del 20% e dei consumi energetici del 20% grazie ad efficientamento e risparmio, con il 20% dei consumi di energia elettrica da coprire con le fonti rinnovabili. Tali obbiettivi vengono portati all'80% nel “Energy road map” al 2050.
Altro fondamento del Patto dei Sindaci” e della “Carta di Lipsia” era la “Carta di Aalborg”, sulla cui base sono state redatte le “Agende 21”, anche a Brindisi, ma di tale indispensabile strumento conoscitivo non c'è traccia nella documentazione presentata da “Ernst & Young” (come, d'altronde, del progetto POMA e del Piano di risanamento dell'Area ad elevato rischio di crisi ambientale, rispetto alla quale soltanto avrebbe potuto essere giustificata la forzatura di allargare le competenze ad un'Area vasta).
Va anche ricordato ciò che è previsto nel Protocollo di Kyoto, da cui sono scaturiti Decreti, quale quello del Governo italiano del 2006, che impongono, contrariamente da quanto affermato da Ernst & Young, obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per singola fonte, avendo come riferimento i valori registrati nel 1990.
L'Unione Europea, nel fissare gli obiettivi al 2020 ed al 2050, non ha minimamente pensato di parcellizzare inventario delle emissioni ed impegni per la riduzione di esse e dei consumi per singoli comparti, tanto è vero che a tali obbiettivi sono strettamente connessi quello di ridurre sensibilmente le produzioni elettriche da impianti termoelettrici che abbiano come combustibili petrolio, carbone e gas e di portare l'incidenza delle fonti rinnovabili fino all'80%.
Come si può pensare di rendere credibile un inventario delle emissioni ed il PAES per Brindisi se nell'impostazione e nel lavoro fino ad ora condotto, si prescinde dalla analisi emissiva massica degli impianti esistenti (Sfir, Fiat Avio, Aventis, ecc.) e comunque essenziali ai fini del raggiungimento degli obiettivi di riduzione e necessari per una pianificazione territoriale in una visione integrata Città-Porto-Area industriale?
Quando ha deciso il Comune di Brindisi, che ha formalizzato la propria adesione al Patto dei Sindaci nel 2012, di abdicare dai propri diritti-doveri per affidare i propri compiti all'Area Vasta brindisina?
Sfugge forse che tutta la documentazione da trasmettere deve avere l’avallo del Consiglio Comunale che, se pur assente, nel periodo di commissariamento, deve oggi ratificare le attività e le procedure da seguire per il Patto.
Legambiente fa pressante appello al Comune di Brindisi, alle forze politiche e sociali ed a tutti gli stakeholders interessati, affinché, leggendo attentamente disposizioni, obblighi (compreso quelli temporali fino ad ora non rispettati) e soprattutto opportunità contenute nel “Patto dei Sindaci per le città sostenibili in Europa” si faccia in modo che sia il Comune di Brindisi ad appropriarsi del proprio ruolo e rediga l'inventario delle emissioni ed il PAES sulla base dei dati, delle analisi e della prospettazione degli obiettivi su Città-Porto-Area Industriale ed acceda, grazie ad un Piano credibile, agli ingenti finanziamenti che la UE mette a disposizione in via prioritaria per i Sindaci che rispettino quanto disposto nel Patto richiamato.

                                                           Direttivo Legambiente Brindisi Circolo “T. Di Giulio”

martedì 1 luglio 2014

nota su incidente nell'area industriale di Brindisi

Un nuovo incendio, preceduto dalla presumibile esplosione di una bombola di GPL, ha interessato l’area industriale di Brindisi, in particolare interessando materiale plastico e copertoni nella ditte Cannone e Bri.ecologica.
In attesa che le autorità competenti accertino la provenienza ed il regolare stoccaggio del materiale andato a fuoco, è evidente quanto sia necessario monitorare i materiali presenti negli stabilimenti, grandi, medi e piccoli dell’area industriale e predisporre ben più puntuali piani di prevenzione, di salvaguardia, di emergenza, interna ed esterna, oltre a quel piano di protezione civile, che risulta estremamente carente nei contenuti e soprattutto male applicato.
Incendi precedenti (citiamo come esempio quelli all’interno dell’Alfa edile) o incidenti, accidentali o provocati, (quali quelli che hanno portato ad emettere in torcia nel petrolchimico sostanze ad alto impatto ambientale e sanitario), dimostrano la carenza dei piani di monitoraggio:
È gravissimo che non sia mai stato realizzato e reclamato dalle Istituzioni il Piano di monitoraggio globale prescritto nel Piano di risanamento dell’area ad elevato rischio di crisi ambientale.
È altrettanto preoccupante la carenza di sistemi informativi, di allerta, di prevenzione, di salvaguardia della salute pubblica o di evacuazione dei cittadini a rischio (si pensi soltanto alle dubbie vie di fuga).
Dopo questo ennesimo incidente ed il ferimento di un operaio attendiamo risposte istituzionali, anche per evitare danni, omissioni o ben più gravi reati siano portati a conseguenze ulteriori.

                                               Direttivo Legambiente Brindisi