Le notizie che la stampa riporta su
“Micorosa” o meglio sulla “zona fanghi”, così come veniva chiamata dalle
aziende del petrolchimico che hanno costituito la discarica abusiva, complicano
ulteriormente lo stato di attuazione della bonifica.
Va dato atto alla politica che è
riuscita ad ottenere i finanziamenti utili alla realizzazione del “capping”,
con la sola eccezione relativa alla denuncia di inerzia avanzata nei confronti
di altre precedenti amministrazioni che, a tal proposito, non avrebbero
effettuato alcunché.
Ma sappiamo che uno degli slogan della
politica è quello di “apparire”, a prescindere dal “servizio” dovuto nei
confronti degli elettori che hanno ritenuto di affidare la responsabilità di
rappresentarli; riteniamo che non sia possibile bearsi dei risultati ottenuti,
nel qual caso il finanziamento delle opere di bonifica, e non evidenziare tutto
il lavoro precedentemente svolto.
La “storia” della “zona
fanghi-Micorosa” parte da lontano e proprio da una richiesta fatta dal Comune
di Brindisi nel lontano 1995, stimolata da un intervento di Legambiente e che
ha prodotto, da parte della Procura di Brindisi, l’apertura di un’inchiesta,
anche a seguito di documentazione acquisita dalla Digos nel dicembre 1995.
Il Sindaco di allora, infatti, conscio
di aver intrapreso l’iter regionale relativo alla creazione del “Parco Saline di Punta della Contessa” e
che l’area della “zona fanghi-Micorosa” era parte integrante del Parco e se non
bonificata non poteva, congiuntamente ad altri problemi ambientali dell’area,
raggiungere gli obiettivi previsti per lo stesso Parco, fra cui la
realizzazione di un brand sui prodotti agricoli, nel novembre del 2000 stimolò
l’intervento di ARPA che, nel dicembre dello stesso anno, rappresentò la
“tragica situazione ambientale” dell’area. Questa nota fu rimessa alla Procura
che ha avviato un “procedimento penale” informando il Comune con nota n.
1695/01 R.G. del 29/05/2001.
Vi è stato, quindi, un diretto intervento
della Procura, già a far data del 2001, del cui esito poi non si hanno
ulteriori riscontri.
Resta però il fatto che, a seguito di
quanto riportato da ARPA, il Sindaco emise “Ordinanza” n. 56/48526 del
27/06/2001 con la quale diffidava le società Micorosa Srl (allora non ancora in
liquidazione) e la Enichem Spa, ad attivare tutte le procedure previste dal DM
471/99 in merito alla messa in sicurezza e successiva bonifica della discarica
abusiva.
A prescindere da tutte le controversie
amministrative avanzate nei confronti della richiamata Ordinanza, ancora oggi
per certi versi pendente presso il Consiglio di Stato, dobbiamo rilevare che
non vi è stata affatto inerzia da parte del Comune che, successivamente, nel
2002 ha elaborato un “Action Plan” su 11 siti pubblici, fra cui Micorosa, da
caratterizzare ed eventualmente bonificare.
Ancora dopo, nel 2007, anche grazie a 3
milioni di euro rivenienti da fondi FAS, il progetto di caratterizzazione della
“zona fanghi”, elaborato dalla struttura comunale, è stato approvato e
realizzato, evidenziando un grave “stato
di contaminazione diffusa”.
Questa non vuole essere una “difesa”
dell’attività amministrativa del Comune, non è il nostro ruolo, ma,
oggettivamente, far intendere che non sia stato mai fatto nulla e che bastano
due mascherine ed un po’ di “media” in cerca di notizie, non corrisponde alla
realtà dei fatti.
In merito poi alla vicenda del progetto
di bonifica elaborato da “Sogesid”, società in house del Ministero,
l’arrabbiatura del Sindaco con volontà di emulare il calciatore Suarez, è
oltremodo condivisibile in funzione delle incongruenze e dei pedestri errori di
progettazione effettuati.
Come è possibile, infatti, realizzare
una progettazione esecutiva senza essere in possesso dei titoli di proprietà
dei terreni sui quali realizzare la bonifica?
Come è possibile richiedere la
procedura di “assoggettabilità” alla VIA regionale (procedura bloccata dal
gennaio 2014), ancor prima di aver ottenuto l’autorizzazione del Consiglio
Superiore dei Lavori pubblici?
Fa bene il Sindaco ad arrabbiarsi,
anche e soprattutto perché sa che lo scoglio maggiore risiede proprio sulla
proprietà dei terreni e, quindi, sui soggetti ai quali attivare le procedure di
esproprio; fatto salvo che non vi sia un’ammissione di responsabilità da parte
della Syndial che, a nostro avviso, oggi
ne detiene la proprietà e che solo il Consiglio di Stato, ove ancora pende il
ricorso del Comune, è in grado di dirimere.
Questa ultima valutazione è frutto
dell’analisi attenta che è stata fatta sulla proprietà del sito, a partire dal
1962 al 1968 quando la Montecatini iniziò a scaricare i fanghi di idrossido di
calcio provenienti dall’impianto di acetilene (P 16) di proprietà della
Polymer, continuando dal 1969 al 1975 allorquando dagli impianti della
Montedison venivano scaricate nella “zona fanghi” le “code clorurate”
provenienti dalla produzione di CVM e DCE (impianto P33) e, per finire agli
anni 1972-1980 quando venivano scaricate le acque di lavaggio acide provenienti
dall’impianto di produzione dell’anidride ftalica (P 26).
Un incredibile gioco societario di
“scatole cinesi” fra acquisizioni, accorpamenti societari, vendite di rami
d’azienda fra le società del Gruppo Montecatini, poi Edison e quelle del Gruppo
Eni e/o di entrambi i gruppi, fino ad arrivare alla fittizia vendita della
“zona fanghi” alla Micorosa Srl; fittizia in quanto, nel contratto di vendita
fra Enichem-Anic e Micorosa che ne ha acquisito il possesso della discarica a
partire dal 15/01/1990, vi era (paragrafo IX) la specifica clausola che il
contratto è sottoposto “a condizione
risolutiva” se Micorosa non avesse ottemperato agli impegni di risanare
l’area della “zona fanghi” attraverso il “recupero” industriale di questi.
Nel richiamato paragrafo IX del
contratto è riportato che, ove Micorosa non avesse ottem-perato alle attività
di recupero, testualmente: “ In tal caso l’acquirente (Micorosa) è
tenuto, a semplice richiesta del venditore (Enichem-Anic Srl) alla
retrocessione dei beni del presente accordo”.
Dubitiamo fortemente che Enichem-Anic
srl (oggi Syndial) abbia mai richiesto a Micorosa la retrocessione del bene,
proprio in virtù della necessità di liberarsi di un discarica abusiva che,
anche grazie all’emanazione della Legge 349/86 relativa alla introduzione delle
“norme in materia di danno ambientale”,
costituiva un enorme problema in virtù del fatto che il Ministero
dell’ambiente, nel 1989, riteneva la “zona fanghi” quale “causa di gravi alterazioni negli equilibri ambientali”, riportati
poi nella “Dichiarazione di area ad
elevato rischio di crisi ambientale” con Delibera del Consiglio dei
Ministri del 30/11/1990.
Resta il fatto che Micorosa è fallita
ed è trascorso quasi ¼ di secolo dal richiamato “contratto” ed i fanghi sono ancora nello stesso posto da
oltre 52 anni e continuano, imperterriti, nell’azione devastatrice delle varie
matrici ambientali e, condividendo i recenti ricorsi così come riportato nel
dossier presentato da Legambiente al Procuratore della Repubblica di Brindisi
nel 2013, anche nella gravità dei riscontri relativi alla salute pubblica.
Legambiente, come ha sempre fatto,
vigilerà sulla procedura di bonifica in atto e, là dove necessario, sarà pronta
a sollecitare ulteriormente i provvedimenti giudiziari a carico dei
responsabili sia del grave danno ambientale prodotto che di coloro che, con
comportamenti attivi e/o omissivi lo hanno consentito e lo consentono tutt’oggi
in merito attraverso procedure che possono indurre anche alla perdita dei
finanziamenti connessi alla bonifica.
Brindisi
21/07/2014
Prof. Francesco Magno
Direttivo
Legambiente Brindisi